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MOLTO LIBERA-MENTE TRATTA​


​iniziativa di interazione poetica
In considerazione dei tempi difficili, abbiamo pensato di promuovere delle attività non “fisicamente”, ma“virtualmente”, avverbio che mi piace far derivare non solo da virtuale, ma anche da virtù. Scusate la forzatura etimologica; facciamo finta che sia una licenza poetica.
 
L’iniziativa “MOLTO LIBERA-MENTE TRATTA” si propone non di spiegare poesie di grandi autori, esercizio potenzialmente tedioso e riduttivo, ma di riscriverle con i propri mezzi tecnici, linguistici, creativi e poetici.
L’avverbio “liberamente” è stato espressamente separato per rendere libera la mente attraverso l’arte più umana in assoluto: la poesia.

La Dante Society posterà sulla sua pagina Facebook una poesia e i partecipanti, dopo averla letta, capita ed interpretata a loro modo, potranno riscriverla con altri versi, con altra forma o altro tipo di rima; aggiungerei anche in un’altra lingua. L’unica regola sta nel titolo dell’iniziativa “MOLTO LIBERA-MENTE TRATTA” . 
Attendo le vostre poesie o, meglio, le vostre “non copie” dato che si tratta di veri e propri componimenti poetici ispirati ad altri e non di semplici parafrasi. 
 
Abbiamo già proposto “L’infinito” di Leopardi, “Ed è subito sera” di Quasimodo ed altre. Ho già iniziato a scrivere la mia “non copia” per farvi coraggio. Ne arriveranno altre.

L’unico premio in palio è il piacere di partecipare.

Visitate dunque anche la nostra pagina Facebook.

Potete inviare le vostre "non copie" a info@dantesocietylondon.com

A presto
Santy Masciarò

Ecco una nuova "non copia" di una poesia di Cesare Pavese. 
Insieme da soli di Santy Masciarò
 
I colori sbiaditi del tuo sguardo sofferente
vede grigi assurdi e strazianti
nelle piazze e nei vicoli pieni di passanti
 che cercano gli altri futilmente
 
davanti agli specchi dei negozi vuoti
assolati e brucianti per la canicola
estiva che nasconde e isola
vite e racconti a nessuno noti.
 
Un tempo non ti frenava, non ti impauriva
la solitudine, era anzi una fatica cercata
per dar forza alla tua volontà nata
per ritrovare te stesso sulla riva
 
di un fiume con un fiume di gente
che però alla fine non trovasti.
Quando il tempo ti mostrò i suoi disastri
tu facesti come colui che si pente.
 
Non ti fu però data l’assoluzione,
e cercasti una compagna di sventure
per condividere le tue speranze periture
nell’arido mare della desolazione.
 
Oggi vorresti una vita rossa,
trascinando il tuo peso in queste spoglie
di parole che suonano come foglie
d’autunno che coprono le tue ossa.
Lavorare stanca di Cesare Pavese

Traversare una strada per scappare di casa
lo fa solo un ragazzo, ma quest’uomo che gira
tutto il giorno le strade, non è più un ragazzo
e non scappa di casa.

Ci sono d’estate
pomeriggi che fino le piazze son vuote, distese
sotto il sole che sta per calare, e quest’uomo, che giunge
per un viale d’inutili piante, si ferma.
Val la pena esser solo, per essere sempre più solo?
Solamente girarle, le piazze e le strade
sono vuote. Bisogna fermare una donna
e parlarle e deciderla a vivere insieme.
Altrimenti, uno parla da solo. È per questo che a volte
c’è lo sbronzo notturno che attacca discorsi
e racconta i progetti di tutta la vita.

Non è certo attendendo nella piazza deserta
che s’incontra qualcuno, ma chi gira le strade
si sofferma ogni tanto. Se fossero in due,
anche andando per strada, la casa sarebbe
dove c’è quella donna e varrebbe la pena.
​
Nella notte la piazza ritorna deserta
e quest’uomo, che passa, non vede le case
tra le inutili luci, non leva più gli occhi:
sente solo il selciato, che han fatto altri uomini
dalle mani indurite, come sono le sue.
Non è giusto restare sulla piazza deserta.
Ci sarà certamente quella donna per strada
che, pregata, vorrebbe dar mano alla casa.

Giuseppe Ungaretti interpreta la tragedia della guerra. Parole sempre attuali oggi e, purtroppo, anche domani.
NON GRIDATE PIÙ: “GUERRA” di Santy Masciarò
​
Le disperate strida
ch’il vostro agir fatale
inutile e tombale
a le migliaia di grida
 
impone  sacrifizi,
rendendo loro inermi
sotto ai cipressi, fermi
è ‘l più bestial dei vizi.
NON GRIDATE PIÙ di Mariella Pratticò

Grida di rabbia e di rancore
ricoprono le voci e i lamenti
di chi invoca la pace
e voi sopravvissuti
non calpestate le memorie degli eroi.

NON GRIDATE PIÙ di Giuseppe Ungaretti

Cessate d’uccidere i morti,
non gridate più, non gridate,
se li volete ancora udire,
se sperate di non perire.
​
Hanno l’impercettibile sussurro,
non fanno più rumore
del crescere dell’erba,
lieta dove non passa l’uomo.

L’infinito di Santy Masciarò
Endecasillabi con terzina dantesca, ovvero rima incatenata.
 
Questa corta siepe nascostamente
dietro al colle dei miei giovin ricordi
troppo alta si staglia a me temente.
 
Ma oziando me tanti pensieri sordi
profondo, gravoso si fa il lamento.
E Natura, rispettosa dell’ordi
 
nario scempio richeggia lo mio lento
svanir apparentemente placido
e con questi pochi versi io mi mento
 
e freschi pensier coperti d’acido
giungono a me per desolate strade
e di tal amarezza son avido.
L’infinito di Giacomo Leopardi


Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.

Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete

Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in questo mare.

“Ma chi fu” di Santy Masciarò
titolo tratto dall’ultima sillaba di ogni verso

La terra ti ospitò che t’ama,
cicogne vedesti, pecore e falchi,
ma il tempo indulgente non ti fu.
“Ed é subito sera” di Salvatore Quasimodo


Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera

"N’AUTRA PEDDI" di Santy Masciarò

​
M’assettu e a seggia mi fa mali
picchì sentu u passatu ca m’attanagghia u cori.
Vogghiu riri u passatu chiddu duci,
u passato ca mi faceva sentire u sapuri duci
macari ‘ndo vinu chiù fitusu,
u passatu ca nun avìa passatu,
ma sulu spiranza, amuri e poesia.
Ogni sira, curcatu, mi sintìa un liuni;
comu era bellu macari u duluri.
Ma, senza addunariminni,
mi truvai comun nu beccu senza corna
nuru, affruntatu di me stissu
cu n’amaru di chiummu ‘nda vucca
ca ti pigghia paru paru
finu ‘e jammi e i spaddi.
Nun criru chiù a nenti, mancu a mìa,
c’aiu nu focu dintra a mìa
ca mi lassa lazzariatu.
Lu fantasma ca si civa cu ‘i mei forzi
mi sprufunna ‘nda lu fossu
ogni jornu sempri cchiù scuru.
Era bellu, macari si sbagghiatu,
quannu pinsava ca tuttu putìa fari sulu.
Ma ora, senza forza, senza amuri
ca mi infiamma
nun mi resta ca ciccari li cumpagni ri svintura;
‘n menzu a chisti pozzu forse
viramenti scumpariri
‘n menzu a chisti pozzu forse
ammazzari lu fantasma ca aiu dintra
e poi, forsi, si Diu voli,
pozzu aviri n’autra vita,
n’autra faccia, n’autra vuci,
n’autra peddi.
"LA PEDDI NOVA" di Ignazio Buttitta


Certu era bellu scriviri
comu un briacu
a la taverna a bìviri,
chi guarda la buttigghia
e ci parra,
e ridi a lu bicchieri
chi svacanta
e torna a ghinchiri arreri.
Scriviri mprinatu d’amuri
la gravidanza, li dogghi, lu partu,
lu tempu esattu
pi fari un figghiu
e nasciri na puisia.
Certu era bellu;
ma ora sugnu spirtusatu,
lazzariatu di dintra,
e scrivu
cu lu duluri chi mi torci
comu un sarmentu a lu furnu;
com’unu assicutatu di li spirdi
muzzicatu di li lapi.
La storia di st’anni fucusi
ha zappatu cu l’ugna
dintra di mia,
e restu scantatu a taliari
l’omini tutti
mpinnuliati a un filu,
a un distinu sulu,
dintra na varca di pagghia c’affunna.
Sentu ca la me vuci
chi li chiama di luntanu
avi limmiti e cunfini d’amuri
e mori nni l’aria.
Voggh’essiri un cocciu di rina
nni la rina di la praja;
un pisci nni la riti cu l’autri
mpignati a sfunnari
la gaggia chi li chiuj.
Mi vogghiu svacantari, scurciari,
farimi la peddi nova
comu li scursuna.

"Non disturbiamoli" di Santy Masciarò
 
Sembra loro oscuro e bollente il guado,
dietro al pianto posson nasconder ‘l riso,
l’animo Natura lor ha diviso
come se sette facce avesse un dado.
 
E di qua proseguiam felicemente,
l’uno conosce e riconosce l’altro.
E’ più facile riuscire allo scaltro
Quando il suo cuor non batte immensamente.
 
No maghi! Senza trucco e senza inganno.
La loro scintilla provien dal foco
come i bambini sono spinti al gioco.
Non disturbiamoli. Non chiedon. Danno.

"Non chiederci la parola" di Eugenio Montale
 
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
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